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PILLOLA #6 – SARINA

Alcuni giorni dimentico il mio nome. Allora con l’indice tocco la prima lettera incisa sulla collana d’oro che non mi tolgono mai. Quel gesto, quello solo, non me lo posso scordare. L’indice segue una curva, una pancia e un’altra curva all’ingiù: S. Mi chiamo Sarina. Dico “tolgono”, loro, perché qui non faccio sola quasi niente. Quando sono sola qui, ricordo e dimentico. Ricordo che queste braccia che ora stanno appese come lenzuoli stropicciati, sono state forti e hanno allevato bambini. Dimentico i loro nomi e ne invento di nuovi, quelli che piacciono a me, di quelli che ho amato. Ricordo come si faceva l’amore. Dimentico se ho mangiato, se ho bevuto, se ho dormito. E loro sono qui per questo, mi ricordano che devo mangiare, bere, dormire. Non lo so più quanto tempo è passato da quando sono qui. In questo posto che non è un ospedale e non è una casa. È il luogo in cui io ricordo e dimentico. E poi mi metto alla finestra e guardo fuori. E aspetto. Aspetto che sia sera, e conto un altro tramonto e mi metto a cantare. Quanti tramonti sono stati in questi occhi di vecchia. Vecchia, non anziana, che a prendermi in giro ci pensa la memoria. Aspetto che arrivi un tramonto solo mio, quel giorno che qui succede ogni giorno. Morire è dovuto se c’hai ottant’anni. Ma oggi non posso, mi tocca resistere. Ancora un’ora, magari per due. Resistere al peso degli occhi che si fanno piccini, resistere alle mani che tremano e si fanno insicure, che sia più per voi non tanto per me. I figli dei figli che sanno il mio nome. Più per voi, di stringermi ancora, di sapermi un po’ viva, di segnare a matita le parole di oggi che sono le ultime? Ricordo e dimentico. E aspetto. In una casa non mia che non è un ospedale ma poco ci manca. Quest’ultimo abbraccio dei figli dei figli. Settantacinque tramonti dopo che hanno chiuso le porte per trovare la cura. Una casa di cura. Ecco dove sto io. E allora quest’ultimo abbraccio lo tengo qui dentro, diventa un tramonto nelle mie braccia molli, negli occhi piccini, nelle mani che tremano, diventa le braccia più lunghe dei figli dei figli che io non vedrò.  

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